In queste settimane quasi tutte le catene di grandi supermercati fanno a gara per abbassare i prezzi in maniera spropositata per accaparrarsi i clienti. Ma è una pratica che svilisce le nostre eccellenze e crea disorientamento tra i clienti, che poi non sono più disposti a spendere più di 3 euro per un litro di olio extravergine d’oliva.
Acquisire contezza di appartenere ad un tessuto sociale, allo sgretolamento del quale ci si deve adeguatamente opporre, è un passo virtuoso e quanto mai opportuno in questo epocale, considerata la piega che sta vivendo la nostra società, soprattutto a causa della pandemia. Insomma, si tratta di metabolizzare la contrapposizione tra “vantaggio effimero” e “vantaggio persistente”. Nel perseguire il primo, che è vistoso ed appagante, sovente si smarrisce il secondo, che non è ben visibile e che si palesa nel tempo medio e non nel tempo breve. È solo il vantaggio persistente, però, che fa compiere passi avanti a tutta la comunità. Ciò premesso, domandiamoci quanto danno arreca alla nostra vita sociale, componente economica inclusa, la beffarda pratica del sottocosto di cui sovente si giova il variegato mondo del retail, GDO e discount in prevalenza.
La vendita sottocosto danneggia soprattutto i produttori
Per vendita sottocosto si intende la vendita al pubblico di uno o più prodotti venduti ad un prezzo inferiore a quello risultante dalle fatture di acquisto dei venditori. La vendita sottocosto può essere effettuata solo tre volte nel corso dell’anno e non può avere una durata superiore ai 10 giorni. Il numero di prodotti oggetto di ogni vendita sottocosto non può essere superiore ai 50 pezzi. Ad occhio, dove l’occhio è il nostro quando lo buttiamo su uno dei tanti volantini che ingombrano le cassette postali, poco credibile appare l’osservanza delle tre volte l’anno, della durata dei 10 giorni e, soprattutto, dei soli 50 pezzi.
In questo periodo, con il ritorno in città e la ripresa delle abitudini quotidiane, il ricorso alle vendite sottocosto diviene ancora più vistoso. Amareggia constatare che tra i prodotti che maggiormente sono offerti sottocosto compaia quasi sempre l’olio extravergine di oliva (venduto, in alcuni casi a meno di 3 euro al litro). Insomma, un prodotto così prezioso per la nostra salute, l’oro verde posto a vessillo della nostra Dieta mediterranea, viene adoperato come prodotto civetta dei supermercati. È la tecnica cosiddetta della “estensione del giudizio di convenienza”. Io cliente del supermercato, nel prendere atto che sto comprando olio ad un prezzo conveniente, espando questa sensazione del “prezzo conveniente” all’intero assortimento del negozio. E difatti la vera finalità del supermercato non è tanto quella di aumentare le vendite dei prodotti in sottocosto, bensì di attrarre clienti che riempiranno il carrello con altri prodotti a elevato margine di profitto.
Il sottocosto genera disinformazione per il cliente del supermercato. Costui si abitua a comprare l’extravergine a prezzi irrisori e mai più vorrà pagare un prezzo equo e sostenibile. Riflettiamo anche su un altro aspetto, solo apparentemente marginale. Il cliente del supermercato, soddisfatto e felice per aver comprato sottocosto l’olio, quando va dal suo meccanico di fiducia per cambiare l’olio al motore della sua auto, non eccepisce sul fatto che stia pagando un litro di olio per il motore della sua auto ad un prezzo cinque volte superiore al litro di olio che serve al motore del suo organismo!
A fronte del vantaggio effimero del soggetto della community, riflettiamo su quanti danni si arrecano alla filiera olivicola-olearia nazionale e al tessuto sociale delle vaste aree del nostro Paese la cui economia si basa prevalentemente sull’olio. La vendita sottocosto dell’olio, come pure del vino, della pasta, del formaggio, delle conserve di pomodoro e di altri prodotti del nostro agroalimentare provoca danni economici irreversibili che si proiettano sulle economie agricole locali del nostro Paese. Danno persistente per la community a fronte di vantaggio effimero del singolo che, essendo parte della community, comunque patirà i danni!
Con la prassi delle vendite sottocosto si genera un fenomeno che in economia viene denominato “selezione avversa”. La cosiddetta selezione avversa si verifica quando il prezzo medio di un prodotto si attesta a livelli talmente bassi, che chi produce lo stesso alimento, ma di qualità superiore, o viene espulso dal mercato con conseguenze nocive sulla sua impresa e quindi sui posti di lavoro e quindi sul tessuto sociale, oppure cambia segmento e si avvia verso la produzione di un olio di qualità inferiore compatibile con i costi di produzione.
La “selezione avversa” a fronte del vantaggio effimero del singolo, genera il danno persistente della community. La “selezione avversa” comporta a lungo termine materie prime scadenti, scarso rispetto delle leggi sull’igiene, sulla sicurezza dei lavoratori, sullo smaltimento dei rifiuti, sulla sicurezza di tutti noi consumatori. Ancora, danni persistenti a fronte di vantaggi effimeri.
Quando l’olio extravergine di oliva viene presentato sui volantini con prezzi al di sotto del valore di mercato (sottocosto), sono tutti gli stakeholder a pagarne le conseguenze sul lungo termine con riflessi sull’economia e sulla società. L’olio extravergine di oliva, ribadiamolo, è un prodotto identitario per l’Italia. La cultura gastronomica ha nell’olio extravergine di oliva un suo pilastro. Lo stesso paesaggio mediterraneo non può prescindere dall’ulivo e dalla vite.
È un paesaggio che ammiriamo con i nostri occhi e che portiamo nel nostro cuore. E non possiamo tollerare che l’olio extravergine di oliva sia spogliato del suo valore e della sua dignità per diventare uno strumento in mano al trade atto ad attrarre clientela nel PdV. Svendere l’olio sottocosto significa condannare gli uliveti all’estinzione e così cancellare parte importante della nostra identità di italiani. La coltura che non remunera con il congruo reddito i “custodi coltivatori” non ha le ragioni imprenditoriali per sussistere in quanto smarrisce i requisiti di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Proprio mentre si lancia il turismo dell’olio, si corre il rischio di assistere alla chiusura di centinaia di frantoi.
Il cibo a basso costo non esiste. Non deve esistere. Non può esistere. E, aggiungiamolo se crediamo ai vantaggi persistenti di cui beneficiamo tutti come membri della community, non vogliamo che esista! Altro che elogio del sottocosto. In questa fase soprattutto, con la rinnovata attenzione agli aspetti salutistici del cibo e memori di cosa ci insegnò Ippocrate: «Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo», si tratterebbe di boicottare i cibi low cost e chiedere e pretendere prodotti di qualità. La sostenibilità socio-ambientale delle filiere, la conversione al biologico, il benessere animale, l’equo compenso ai produttori, la tracciabilità delle materie prime, l’indicazione del luogo di produzione, i profili nutrizionali degli alimenti devono costituire i criteri che guidano la scelta di come riempire il carrello.
Ed eccoci alla “parola chiave”: il carrello! Per quanto tempo ancora buona parte del retail (escludiamo i pochi che stanno già attivandosi) vorrà continuare a ritenere necessario attrarre la clientela nei propri negozi e perciò adoperare anche lo strumento scellerato del sottocosto? Per quanto tempo ancora costoro continueranno a ritenere indispensabile, ancorché canale unico di vendita, il negozio fisico? Esiste l’e-commerce. Dal carrello fisico al carrello virtuale: la digitalizzazione. Un modo completamente nuovo di intendere acquisti ed approvvigionamenti. Decisioni meditate, fatte in ambiente confortevole con tempi e modalità che inducono a scelte in cui il fattore prezzo pur permanendo importante non sarà “da solo”, bensì sarà in rapporto ad alcuni dei criteri fondamentali di cui si è detto.
Il lockdown ha concorso non poco a cambiare i nostri comportamenti quotidiani ed anche la nostra visione del futuro. Ci si sentirà sempre meno consumatori di beni da acquistare e ci si sentirà sempre più fruitori di servizi. Ci sentiremo fruitori di servizi anche quando si tratterà di approvvigionarci dei cibi mediante i quali intendiamo soddisfare il bisogno dello “sfamarsi” che da tempo oramai vira verso il desiderio del “mangiare bene” sovente in compagnia. La componente di servizio comporterà privilegiare scelte orientate ad alimenti che siano in piena sintonia, armonia vorremmo dire, con la concezione stessa che stiamo acquisendo della “qualità del vivere”.
Il sottocosto diverrà retaggio del passato, quando ancora il vantaggio effimero, che procura danni persistenti, era vincente sul vantaggio persistente dei cui benefici si gioveranno anche le nuove generazioni.
Redatto da https://www.italiaatavola.net/